giovedì 19 marzo 2009

W l'impresa

Quando ho sottoposto questa lettera per il blog mi hanno detto che mi sarei fatto del male.
Mi hanno detto: “Devi essere politicamente astuto se vuoi stipulare contratti”.

Ho risposto: “Voglio lavorare con manager veri e non con manichini da vetrina,
sono interessato e attratto da chi decide, investe e muove veramente i fili delle organizzazioni, gli altri, sono conoscenti che non sempre stimo!”

Il terzo uomo, entrato nella discussione, dice: Bene ragazzi, questa è la prova di come perdere i potenziali clienti che, non avranno le palle, ma ti fanno fare i soldi!

A quel punto, supportato da una disapprovazione evidente, ho deciso di pubblicare la mia lettera.

Non dico apertamente che c’è crisi perché, nella sostanza, siamo ancora lontano da questo termine duro e al momento un po’ di moda.
Sono momenti difficili. Difficili perché c’è la paura, l’attesa incerta. Queste due sensazioni in parte motivate, ci rendono nervosi e bloccano la volontà di reazione. Le cause sono molteplici. Una di queste è la paura di perdere il “volo”; ogni azione è seguita da una riflessione negativa, anteponiamo la sconfitta, o la non necessità di fare qualcosa, e così stiamo fermi, titubanti sul da farsi. Dire che oggi è la conseguenza di ieri può sembrare un concetto riduttivo ma, nella sua semplicità, è vero!
Quando il cannone tirava abbiamo giocato, non tutti, a fare gli uomini dell’alta finanza, abbiamo fatto girare il danaro come le figurine doppie; vi ricordate la vostra giovinezza? Bene, ci sono stati individui che giocando hanno massacrato il lavoro di molti, l’economia reale. Il lavoro, la costruzione reale di qualcosa, il tangibile o il servizio utile alle persone. Ci siamo dimenticati che l’economia non è un termine moderno, ma vecchio come l’uomo, che, nei secoli, ha lavorato per il proprio sostentamento e la progressione dei servizi collaterali utili al vivere. Abbiamo cominciato a rovinare, quando abbiamo dato importanza alla carta moneta. Abbiamo pensato che la ricchezza fosse solo il conto in banca, la percentuale d’interesse che dava, compravamo cose solo sulla carta. Tutto funzionante per un pò poi ….
Ci siamo dimenticati dell’uomo. L’uomo intelligente che progetta, crea, consuma, lavora, fa fatica. Possiamo pensare che questa sia emerita teoria o filosofia. Errore! Perché? Perché la conseguenza del contrario si vede e si sente!
Possiamo pensare che tutto questo non dipenda da noi, le grandi c….ate sono state fatte da altri. Vero, ma abbiamo imparato, imitato e assecondato gli altri.
Nel nostro piccolo abbiamo partecipato alla disfatta.
C’erano le imprese. Ci furono le grandi imprese.
Guardatevi intorno e vedrete l’effetto ritiro, la maglia, se non è di buon tessuto, al primo lavaggio si restringe. Le grandi imprese si accorgono che gli uomini che sono dentro fanno numero e non esprimono valore aggiunto; il loro interesse è ricoprire cariche o posti di lavoro. Peggio per le aziende partecipate da interessi statali o politici. Allora, la pensata …, rimarremo grande impresa ma la dividiamo in unità, unita di business. Facendo così, abbiamo fatto un passo verso l’origine, l’impresa tradizionale. L’impresa gestita da chi è interessato, il motivato, il condottiero, una figura o più figure che guadagnano sulla base dei risultati raggiunti. Ma questo, ad alcuni non piace. Mi hanno detto che noi, in Italia, abbiamo ancora un numero elevato di piccole e medie imprese. Prova pratica, in questo momento abbiamo meno caos rispetto ad altri paesi invasi dalle grandi imprese. Vogliamo le grandi imprese? Bene, accettiamole con una condizione, nelle varie sedi ci deve essere un elemento o più elementi, che agiscano alla maniera del vecchio amato e odiato sciur Brambilla. Le aziende guidate da interessi finanziari o da attività politiche non hanno anima. E’ l’anima, la passione, il desiderio di realizzare qualcosa che da vita all’impresa. Il resto, tutte c..te. Preciso che non sono un esperto in economia, sono solo uno che sta dalla parte dell’uomo, che pensa e agisce. Non sono dalla parte di chi è pagato per gestire grandi imprese cotte, mai risollevate, alimentate da danaro pubblico, sempre in perdita. Questi personaggi, fallito da una parte, li ritroviamo dall’altra. Incapaci con stipendi garantiti. E’ bello fare danni con il portafoglio pieno! E’ bello fare i top manager da copertina quando l’azienda te la foraggiano gli altri. Questa, è la prova di quanto sono fenomeni. Evviva l’economia reale, viva l’impresa!

5 commenti:

  1. il pensiero che ho leggendo la lettera sopra è......ecco la "differenza" che fà la differenza , naturalmente ognuno di noi può associare alle parole "farsi del male" , "astuzia politica" , "contratti" e "manager da vetrina" le proprie convinzioni.... i propri valori e quindi leggere lo scritto con occhi critici e distanti, a me balzano all'occhio ,parole di fiducia e parole di passione, quell'antica passione per la genuinità che tanto sviluppo e tanta creatività ha prodotto.... tempo fà le sagge parole dei nonni erano le nostre leggi , e la passione e il sacrificio erano parole ricorrenti..... cosi, mi auspico riflessione , analisi, confronto, e sfide genuine, cosi ...saremo più bravi e più forti quando racconteremo ai nostri figli le nostre esperienze....... viva il cuore e la passione dell'impresa!!!

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  2. Ti scrivo per un senso di vicinanza... mi aspettavo un po' di commenti a quanto hai scritto... ma quando si esce fuori dal coro sembra che intorno si trovi solo silenzio... sarà la paura di dire quello che realmente si pensa?

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  3. Più che paura penso che sul web...quando ci si trova di fronte ad argomenti molto più profondi dello scambiarsi battute o fare recensioni di un prodotto..scatti uno strano meccanismo che non ci porta a commentare gli stessi..
    Penso che l'importante sia gettare il sasso..sasso che per molti è molto pesante da raccogliere perchè implica riflessioni che mettono in discussione il proprio pensiero/giustificazione personale.

    In effetti forse è proprio di paura che si tratta...paura di sentirsi mancare "la terra sotto ai piedi"..

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  4. Scusami Pezzin per il ritardo, ma ero altrove con il cuore; ho letto subito la tua riflessione sull’”IMPRESA”, condivido diverse tue sottolineature e oggi posso dirti quello che sento. La crisi economica ci spaventa parecchio, perché riguarda tutti, anche noi e abbiamo paura che la nostra vita possa perdere “qualcosa”, oppure temiamo per i nostri figli, per il futuro. Siamo a contatto con gente, anche valida, che ha perso il posto di lavoro e ha difficoltà a reinserirsi… E’ vero che l’uomo è il protagonista della sua vita per quello che sa tirar fuori da sé, soprattutto nelle situazioni di difficoltà, ma tocco con mano che alcune persone, pur attivandosi, non riescono a trovare la strada di uscita. L’uomo si può riconvertire, ma non può ringiovanire e l’economia del 2009 spesso ignora il cinquantenne “esperto”, sbattuto fuori dalla crisi aziendale e la sua riconversione in ruoli alternativi è possibile, ma richiede tutte quelle doti che indichi tu. Non sempre la persona “esclusa e disorientata” ce la fa a cambiare veste ed a rientrare nella produzione. Proviamo a metterci nei suoi panni! Il giovane è più disponibile alla flessibilità ed al cambiamento professionale, ma ho sentito dire che ha meno disponibilità a farsi coinvolgere nel “capire il lavoro, farlo proprio, trovare le modalità più efficaci, trovare il gusto dell’esecuzione, verificare il proprio operato…”. In sostanza, molti lavorano senza l’anima e senza l’occhio del professionista. Perché lavorano solo per dovere? E’ una cultura molto diffusa: fare il minimo; non solo nel lavoro, ma anche nello studio, nella vita e nelle relazioni. Il gusto dell’essere “in quello che si fa” dà colore alla vita, perché ci accorgiamo che attiva i nostri neuroni mentali e ci riempie il cuore di gioia, ma c’è gente che il gusto lo trova solo nello stipendio. Va bene per il ruolo del Sciur Brambilla, ma forse è meglio che oggi sia accompagnato da almeno un altro dirigente che condivida le sue impostazioni e faccia da specchio nelle scelte dell’impresa. Non è un mio campo, ma penso che oggi le grandi imprese abbiamo più bisogno di rinnovamento tecnologico, una dirigenza creativa e un personale fortemente motivato. La mia vita mi ha portato a lavorare quasi completamente nel pubblico e lì puoi “scegliere” se usare la testa e la passione o guardare sempre l’orologio: dipende da chi sei e da come vuoi vivere quei lunghi quarant’anni. Quando poi, in pensione, diventi l’impresario di te stesso, allora sì che capisci che cosa vuoi dalla tua impresa per l’”impresa” della tua vita! Pezzin, vai avanti alla scoperta di quello che hai dentro e che può rispondere al tuo bisogno di cambiamento!

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  5. Bella descrizione. La tua lettera contiene una risposta alla questione, anzi, è un metodo. Prova a rileggerla. Grazie!

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