lunedì 31 agosto 2009

Considerazione

Credo proprio che la moda “attenzione alla persona” sia in atto.
Leggo su giornali, riviste e altri documenti questa smania di pensare all’altro, alla persona. Da oggetto, la persona, diventa soggetto. Sarà vero? La mia speranza è che questo possa diventare realtà, perché nella pratica non vedo l’effetto desiderato. Attenzione, per vendere un prodotto occorre dire che il bene acquistato è: ecocompatibile, risparmia energia, rispetta la natura… Il consumatore non è più macchina che deve consumare ma una persona che va coccolata, rispettata in nome dei grandi valori. Mah… le dichiarazioni, le aspettative, gli intendimenti sono, a mio parere, ancora sulla bocca di chi, con queste menate, ne fa un business. Quando il mercato non tira, le invenzioni strategiche di marketing superano la fantasia.
Fino a ieri, cari signori, ci hanno gestito come oggetti, fino a ieri ci hanno venduto e abbiamo consumato prodotti che hanno massacrato il pianeta, la prova, è l’inversione di tendenza. Alcuni, però, per evitare di chiamarla strategia, la chiamano presa di coscienza o meglio ancora, fa più fighi, consapevolezza.
Ho sempre creduto che la presa di coscienza e consapevolezza, fossero atteggiamenti mentali insiti nell’uomo, sentendo questo però, penso di aver sbagliato. Vero anche, che esistono e sono esistite persone che fanno e hanno sempre fatto ciò che adesso, per qualcuno, è la grande scoperta, l’attenzione all’uomo e al suo ambiente.
La differenza che questi ultimi non ne parlano, esercitano. Chi ne parla è perché vuole comunicare qualcosa che sicuramente torna comodo, i propri affari. Sono lupi mascherati da agnelli. Prima o poi, se li ascoltate, se li guardate, capirete chi sono nella realtà. Volete fare una comunicazione di successo? Mette nel vostro messaggio la persona, la famiglia, le nuove generazioni, lo sviluppo sostenibile (che cavolo voglia dire di preciso non lo so) i valori, la natura e avrete il consenso.
Vi espongo la mia tesi
Non si può creare consenso se non si spingono le persone a guardarsi dentro e far nascere in loro la voglia di fare. Siamo degli asini se non dedichiamo almeno un’ora la settimana per aiutare qualcuno, ci sono mille associazioni desiderose d’incontrare volontari, buttare la carta per la strada è un gesto piccolo come piccolo il cervello di chi lo fa; ascoltare i buoni propositi comodamente seduti è da sfaccendati che delegano altri a fare; essere abili in qualche attività senza comunicarla alle persone più giovani è un modo di fare che anche gli animali conoscono; parlare di famiglia mentre i nostri piccoli sono parcheggiati davanti alla televisione, così per un pò non ci rompono, è devastante. In sintesi, se vogliamo renderci tutti più consapevoli, non dobbiamo girarci in giro, usare parole morbide, pensare che alla fine la presa di coscienza arrivi. Adesso capite perché io ho poco consenso?Non mi preoccupo di piacere, mi occupo, con altri, di fare ciò che può servire per avere persone che nella società siano per la società. Contribuire!

giovedì 20 agosto 2009

Forza della natura

Appoggiato ad una balaustra, guardo. Gli occhi seguono le ondulazioni del terreno, salgono scendono si soffermano su particolari. Si affianca silenziosa, strano, Ada. Ada è una signora molto legata al posto, ci vive tutto l’anno. Ada è il prototipo del “che bello scherzare”. Anche Lei si appoggia alla balaustra e, con sguardo d’ispezione dice: “Molti anni fa tutto quello che vedi erano prati, campi coltivati. Adesso, il bosco sta avanzando. I nostri vecchi dicevano che qui era tutto bosco e tutto bosco sarebbe ritornato.”
A quel punto mi parte l’embolo. Questo paese, incollato alla montagna è stato modellato dal duro lavoro dell’uomo. Generazioni intere dedite nel rendere vivibile un territorio verticale. Hanno costruito, coltivato e terrazzato. Hanno reso vivibile un posto selvaggio e inospitale. Nonostante tutto, i primi abitanti, prevedevano questo: Tutto era bosco e un giorno, il bosco ritornerà.

La natura diventerà ancora la padrona e sovrana perché, lentamente lavora e si rigenera.

venerdì 7 agosto 2009

Solo se si è una buona squadra si può combinare qualcosa!


L’altro racconto è di un gruppo, una squadra che opera per un marchio che, pur non avendo un nome da copertina, si esprime con competenza e professionalità. Sono i “ragazzi” della Mitrol.
I primi incontri in azienda. Il titolo, formare una squadra vincente. La teoria è sempre condivisa sino a quando non si chiede di metterla in pratica. Li aspetto al varco, saranno da me per la prova pratica. Un gioco in mezzo alla natura, un divertimento collettivo, ma sempre pratica è. L’arrivo è puntuale; dal pullman scendono facce scanzonate e gitaiole. Da questo momento sono miei! Penso: Vi spacco le ossa, non siete in azienda davanti ad un pc da bravi operativi!! Il mio pensiero, dopo il primo gioco, denominato Iranian-game, comincia a vacillare. Combattenti, mentalmente e fisicamente protesi alla competizione. Non sono ancora convinto. Passiamo al secondo esercizio. Due squadre al punto di partenza ognuna con la sua mappa. Qui li voglio proprio vedere. Esistono varie tipologie di orienteering, noi abbiamo scelto quella meno organizzata. K1 e K2 sono le sigle delle squadre in competizione. Orientarsi con pochi elementi, in un terreno fatto di salite, discese e attraversamento di torrenti, è pesante. Via radio mi avvertono che hanno iniziato. Aspetto nella mia postazione di controllo sul torrente. Vedo il primo gruppo, confabulano, si organizzano, cercano, si confrontano. Arrivati al torrente capisco chi sono, dalle espressioni verbali e di movimento traspare tutta la vitalità di una squadra che non è lì, come normalmente dico, a pettinare le bambole o a lucidare i soldatini. Si concentrano sul da farsi e collaborano per oltrepassare il torrente il tutto, con determinazione. Ai miei occhi non erano più i bravi e un po’ sfigati che lavorano in uffici confortevoli, ma un’orda di guerrieri scatenati. Il gruppo è misto, uomini e donne, le donne non sono da meno anzi, l’eleganza femminile si trasforma in energica attività virile. Passato un gruppo, aspetto l’altro che, da li a poco, spunta dal bosco. Stessa scena. Orda di barbari. Alla faccia dell’impiegatuzzo. Il mio pensiero originario si dissolve e lascia il posto ad una considerazione: “Era già una squadra, il corso è servito per non far dimenticare ai componenti il valore intrinseco della squadra stessa”
Mi hanno chiesto come vi ho visto. Ho risposto: Mi auguro che tutto quello che penso di positivo di quel gruppo, si liberi sempre in ogni giornata di lavoro. Credo siate dei Vincenti!


Pensare e agire, agire e pensare

Ecco i due racconti. In sequenza temporale.
Fatti accaduti che mi hanno dato la possibilità di pensare e meditare.
Giovani studenti, come tanti, giovani riuniti insieme per condividere una parola, non come tanti ma un pò meno.
Sono giovani riuniti in una casa di vacanza a poca distanza dal centro di Formazione Iter-Formo. Mi arriva un invito: “Se vuoi, in uno dei nostri momenti di vita comunitaria, vorrei farti parlare ai giovani di come vedi e interpreti il mondo del lavoro, e di chi, il mondo del lavoro, ha bisogno.
Accetto!
Ecco il fatto.
Mi ritrovo davanti ad una quarantina di ragazzi che mi puntano con il loro sguardo. Penso: non voglio pronunciare sermoni, devo ragionare con loro, devo ridere con loro, devo esporre qualcosa di pratico per contribuire!
Altra cosa che penso è che non posso comunicare, come a volte mi capita, con l’uso parolacce. Ho un accordo, evitare termini scurrili, in effetti sono poco educativi. Per moderare il mio difetto si vincola una scommessa. Tot parolacce, pizza persa.
Sento che la temperatura del mio corpo sale, le parole e i concetti mi escono con estrema facilità. Il motivo è semplice, sto comunicando a giovani che non perdono tempo, si dedicano a qualcosa di utile e la faccenda, non mi lascia indifferente.
Incrociando i loro sguardi vedo nei loro occhi un mix di incertezza, speranza e voglia di combinare qualcosa. Ridiamo insieme. Li esorto a ragionare con la propria testa, a pensare, a non entrare in vortici che disorientano e fanno perdere del tempo utile per il raggiungimento di ciò che desiderano. Avere desideri e percorre la strada per volerli realizzare è difficile, ma paga sempre. Ho detto loro che, a mio parere, occorre darci dentro, dedicarsi, ascoltare il suggerimento di tutti ma, in ultima, decidere autonomamente cosa si vuole fare, anche se questo, può pregiudicare la perdita di qualcosa. Evitiamo, quando il tempo sarà trascorso, di affliggerci ripetendoci, se avessi fatto, se avessi deciso. Proprio perché giovani, non rimandiamo sperando che il tempo sia a nostra disposizione. Dateci dentro raga! Così, con altre affermazioni e dichiarazioni, ho esposto il mio pensiero ad un gruppo di giovani che hanno colto una grande opportunità, parlare e stare insieme per una settimana. Una settimana che potevano spendere solo con il divertimento senza l’uso del cervello. Loro si sono divertiti con il cervello ed è questa la grande opportunità. Con loro ci sono stato per poche ore, poche ore per uscirne contento e motivato. Con questo, cari ragazzi, vi ringrazio, avete dato a me l’opportunità di pensare che giovani con le p..lle ci sono ancora! (ormai la pizza l’ho persa)
Nel mio articolo nel blog non ho esposto il contenuto del nostro incontro, perché le parole hanno un significato diverso quando sono espresse in un determinato momento.
Un pensiero a don Enrico, che lavora per diffondere ciò in cui crede. Un compito importante e utile, che aiuta a togliere quella miopia tipica di chi vede e crede solo in ciò che tocca.